La presa in carico delle persone affette da malattie rare è una delle sfide più urgenti per i sistemi sanitari nazionali e regionali. Un tema complesso, che non riguarda soltanto la diagnosi e la terapia, ma anche — e soprattutto — l’organizzazione dell’assistenza lungo tutto il percorso di vita del paziente.
Ne ha parlato Marco Bosio, Direttore Generale di ASST Rhodense, sottolineando come l’allungamento dell’aspettativa di vita abbia cambiato radicalmente lo scenario: “Abbiamo oggi persone che convivono con una malattia rara ma che, grazie alle terapie disponibili, raggiungono età avanzate. Questo porta con sé la necessità di gestire non solo la patologia rara, ma anche tutte le altre condizioni croniche tipiche dell’invecchiamento”.
Diagnosi e accesso alle cure: un nodo ancora critico
Il punto di partenza, ricorda Bosio, resta l’accesso alla diagnosi: rapido, certo e il più possibile vicino al territorio. Tuttavia, per molte patologie rare, la diagnosi richiede il ricorso a centri di riferimento altamente specializzati, spesso lontani dalla residenza del paziente. “È giusto che i centri di eccellenza mantengano il loro ruolo – ha spiegato – ma non possiamo pensare che il paziente debba rivolgersi sempre e solo a queste strutture. Serve una presa in carico diffusa, che garantisca continuità clinica e terapeutica anche vicino a casa”.
L’assistenza territoriale come nuova frontiera
In linea con le strategie nazionali e con i finanziamenti del PNRR, l’assistenza si sta progressivamente spostando dall’ospedale al territorio. “Più riusciamo a tenere le persone a casa, meglio è – ha detto Bosio –. Il territorio deve essere in grado di dare le prime risposte, lasciando all’ospedale il ruolo di secondo livello”.
Case di comunità, medici di medicina generale e strutture spoke diventano quindi tasselli fondamentali di una rete che deve garantire al paziente non solo cure specialistiche, ma anche continuità terapeutica, follow-up e supporto psicologico.
Telemedicina e rete clinica
Un ruolo crescente lo gioca, quindi, la telemedicina, che permette di superare le distanze geografiche e mettere in contatto i professionisti dei centri di riferimento con i medici territoriali. “Il teleconsulto e il monitoraggio a distanza – ha ricordato Bosio – sono strumenti che fino a pochi anni fa erano poco utilizzati. Oggi, grazie alle piattaforme nazionali, diventano risorse preziose per mantenere il paziente a casa e allo stesso tempo garantire un’assistenza specialistica qualificata”.
Il paziente al centro di una rete integrata
La vera sfida, secondo Bosio, è costruire una rete assistenziale integrata, che eviti l’isolamento e accompagni il paziente nel tempo. “Il medico di base resta il primo riferimento, ma non può essere lasciato solo. Deve esserci uno specialista di riferimento, una struttura territoriale di supporto e la possibilità di attivare interventi domiciliari con infermieri, terapisti e psicologi”.
Un modello che richiede flessibilità organizzativa, perché ogni patologia rara è diversa e ogni territorio ha le proprie caratteristiche. “Il nostro compito – ha concluso Bosio – è costruire modelli organizzativi ritagliati sulle esigenze reali delle persone, capitalizzando le tecnologie e rafforzando la rete sociale e sanitaria. Solo così potremo garantire risposte efficaci e far sentire i pazienti meno soli nel loro percorso di cura”.