La sfida manageriale per migliorare l’assistenza ai malati rari e la sostenibilità del sistema

La gestione delle malattie rare e anche complesse richiede un modello assistenziale integrato, capace di unire risorse specialistiche, assistenza territoriale e strumenti innovativi per garantire continuità di cura e sostenibilità

“Quali modelli integrati per un’assistenza efficiente, equa ed efficace nella gestione delle malattie rare” Questo il tema affrontato nella terza puntata di SaniRare, il ciclo di incontri promosso da Homnya nell’ambito degli approfondimenti che animano il portale Sanitask.it, con il contributo incondizionato di Sobi, che nei primi due appuntamenti ha già trattato i temi dell’innovazione e della sfida della longevità per i pazienti con malattie rare.

La gestione delle malattie rare e anche complesse richiede, infatti, un modello assistenziale integrato, capace di unire risorse specialistiche, assistenza territoriale e strumenti innovativi per garantire continuità di cura e sostenibilità. La loro efficacia dipende da una governance sanitaria solida. Per questo al terzo appuntamento di Sanirare, condotto da Corrado De Rossi Re (Direttore di Sanità Informazione) sono stati chiamati a dare il loro contributo Marco Bosio, direttore generale dell’Asst Rhodense; Matteo Stocco, direttore generale del Policlinico di Milano; Callisto Marco Bravi, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; e Roberto Poscia, direttore dell’Unità di ricerca Clinica e Clinical Competence, direttore del Centro interdipartimentale Malattie Rare del Policlinico Umberto I di Roma e presidente del Comitato Etico Nazionale Terapie Avanzate dell’Aifa.

Territori diversi (Lombardia, Veneto e Lazio) ed esperienze diverse. Già questo, come evidenziato da Marco Bosio, determina la cornice entro la quale ci si muove. “Il contesto organizzativo regionale può rappresentare una base più o meno solida sulla quale innestare poi modelli di presa in carico. Nel nostro caso, dove abbiamo anche un’organizzazione strutturata sulle malattie rare in rete, può essere più semplice che in altri. Dobbiamo, però, garantire che questo sia un modello attivo e un’esperienza concreta, ponendo su di esso quel valore aggiunto che è rappresentato dalla reale partecipazione delle strutture e dalla centralità del paziente. In questo senso, noi manager dobbiamo essere facilitatori di questo processo, con protocolli diagnostico terapeutici assistenziali chiari e condivisi che consentano ai professionisti di muoversi in modo coordinato e verso un obiettivo comune”.

Poi c’è l’elemento strumentale: “Siamo nell’era digitale, vanno create le condizioni per fare in modo che le anche le informazioni sanitarie siano il più possibile condivise, a maggior ragione per le patologie dove le informazioni sono poche a causa della poca casistica”. Per il Dg dell’ASST Rhodense servono quindi volontà manageriale e risorse, ma anche “competenze e formazione che permettano ai nostri professionisti non solo di saper trattare le patologie, ma anche di saper lavorare in rete e con un confronto costante”.

Entrano così in gioco anche i cosiddetti Real World Data, risorsa importante per guidare modelli di governance più efficaci basati sugli esiti. La strada è ancora lunga per Roberto Poscia, ma “nel prossimo futuro questi dati diventeranno un patrimonio importante, insieme alla ricerca clinica, non solo come motore di innovazione scientifica ma anche per orientare la programmazione, valutare gli esiti e la sostenibilità dei percorsi, insomma per la governance. Oggi assistiamo già a qualche esperienza in questo senso, ma la sfida è passare da una ‘ricerca episodica’ o ‘spontanea’ a una ricerca ‘di sistema’”.

“Questo significa però – ha sottolineato Poscia – che la ricerca non deve restare più confinata nei centri di eccellenza ma diventa una funzione diffusa, tra le strutture e anche sul territorio, dove tutti devono essere capaci di raccogliere dati e renderli fruibili in un unico sistema. Occorre, a mio avviso, creare un modello che utilizza la ricerca come leva di miglioramento organizzativo e non solo di conoscenza scientifica. In questo caso la ricerca può e deve diventare una funzione manageriale. Il primo passo per riuscirci è costruire infrastrutture stabili per la condivisione dei dati, e in realtà in Europa è quello che si sta già facendo. Si tratta di una grande opportunità”.

Centri di eccellenza, dunque, ma anche territorio. Per i dati ma anzitutto per l’assistenza. Proprio sul territorio e sulla sua integrazione con gli ospedali si lavora da anni, ma ancora con non poche difficoltà. Se in alcune Regioni, come ha raccontato Matteo Stocco per la Lombardia, l’integrazione tra centri ospedalieri e tra questi e i centri specializzati è già realtà, più difficile è creare questa relazione stabile con il territorio e offrire assistenza di prossimità ai pazienti complessi, che, tuttavia, diventano sempre più numerosi, grazie ai progressi scientifici che ne hanno allungato la loro aspettativa di vita, come raccontato nella seconda putata di SaniRare.

Quella dell’assistenza sul territorio è però una necessità sempre più urgente. “Al Policlinico – ha spiegato il Dg – attualmente seguiamo oltre 350 pazienti con malattie rare, residenti in Lombardia o in altre Regioni. Sono circa 130 i medici e i 28 reparti coinvolti nella gestione di questi pazienti nel loro complesso. Un lavoro condotto al Policlinico ha evidenziato che, se tutte le prestazioni diagnostiche e le visite di controllo necessarie per la gestione dei soli pazienti rari fossero fatte all’interno del Policlinico, non avremo più spazio per nessun’altra tipologia di malato. Avremmo esaurito il nostro potenziale di attività. È evidente che questo non è possibile, è necessario demandare alcune prestazioni ad altri centri, ad altre strutture, ad altri ambiti assistenziali”.

Stocco ha spiegato che il Policlinico lavora già “in collaborazione con altri centri e ospedali, anche in altre Regioni, ma non in modo strutturato: si tratta per lo più dell’iniziativa dei nostri professionisti che interagiscono con i colleghi”. Come superare questo limite? Da una parte, per Stocco, resta essenziale il ruolo proattivo dei medici e dell’integrazione professionale che, attraverso una maggiore consapevolezza sulle malattie rare e sui PDTA, deve favorire la diagnosi tempestiva; dall’altra, occorre lavorare per creare modelli di gestione dei pazienti sul territorio e nelle strutture di prossimità, alleggerendo il lavoro dei centri e migliorando la qualità di vita dei pazienti.

La strada da percorrere non è breve né priva di ostacoli. La parola d’ordine è collaborazione tra strutture, ma anche con le Università. “È un presupposto fondamentale – ha detto Callisto Marco Bravi – perché quando mancano le conoscenze, si tende a riversare il problema sugli altri. Formare è la parola d’ordine e questo fin dall’inizio. Credo che nella formazione sia indispensabile introdurre anche il concetto di multidisciplinarietà, a cui sono molto più avvezzi i Paesi del Nord Europa”.

Per Il direttore generale dell’Aoui di Verona, il problema della formazione non riguarda però solo i medici, ma anche le altre professioni, in particolare del comparto. “Dobbiamo incrementare la sensibilità delle Università su questi aspetti e studiare meccanismi di asset che possano facilitarli”. Tra questi, Bravi ha citato “il patrimonio informativo. Oggi il Fascicolo sanitario elettronico di cui disponiamo è incomparabile a quello di altre esperienze europee e non possiamo lamentarci. Il problema resta quello dell’accessibilità dei dati. Anche su questo aspetto occorre migliorare la formazione, che non deve essere attenta solo alle cure ma anche alla capacità dei clinici di lavorare insieme anche per costruire un ecosistema digitale che consentano di condividere informazioni che sono comunque già disponibili”.

Sull’importanza di accelerare sul fronte delle tecnologie hanno concordato tutti gli ospiti di SaniRare. “Quello del digitale è un campo in cui noi manager dobbiamo entrare come leader e non solo come facilitatori o ottimizzatori, perché la tecnologia, se non la sapremo sfruttare, ci travolgerà. Sfruttarla al meglio significherà invece offrire un’assistenza migliore, anche dal punto di vista della governance, perché lavorare su modelli predittivi significa garantire salute e risparmi grazie a risposte più appropriate ed efficaci”, ha detto Marco Bosio.

“L’utilizzo dell’intelligenza artificiale può effettivamente rappresentare la chiave per una sanità intelligente, se usata con criterio”, ha aggiunto Roberto Poscia. “Abbiamo bisogno di una sanità che non sappia solo gestire il presente, ma anticipare il futuro. A questo scopo, però, non basta raccogliere i dati: bisogna saperli integrare e interpretare. Parliamo di dati clinici, amministrativi, di laboratorio, di outcome e anche di abitudini dei pazienti. Per questo servono software di intelligenza artificiale non solo sofisticati ma paragonabili a dispositivi medici, cioè che rispondano a requisiti normativi e di qualità, in grado di restituire dati affidabili e risposte reali.”

Matteo Stocco ha richiamato la necessità di mettere sempre al centro il paziente e i suoi bisogni, anche sfruttando le nuove tecnologie. “Al Policlinico stiamo sperimentando un chatbot interattivo che permette ai pazienti affetti da malattie rare di avere sempre risposte e di non sentirsi mai abbandonati. Un sistema che offre loro indicazioni e risposte, ma anche la possibilità, nel caso in cui non trovino l’informazione che cercano, di inviare una mail e ricevere una risposta qualificata nel minor tempo possibile.”

Un’assistenza più veloce, quindi, ma sempre affidabile, anzi ancora più appropriata per i pazienti con patologie rare, che può così diventare anche più equa. Evitando però, ha sottolineato Callisto Marco Bravi, “quello che io chiamo anatocismo burocratico: una pratica burocratica che ne genera altre tre, e nel caso dei pazienti con malattie rare anche dieci”. Bravi ha spiegato come sia compito dei manager “rendere le cure facili e accessibili”, anche investendo sugli asset digitali, “che significano informatica ma anche cybersicurezza”. Lucia Conti

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