SaniRare. La sfida della continuità assistenziale per i pazienti rari, sempre più longevi

Grazie ai progressi della medicina e della presa in carico, l’aspettativa di vita dei malati rari è cresciuta fortemente. Portando, tuttavia, con sé i problemi legati all’invecchiamento, alla cronicità e alla comorbidità. Il tema al centro del secondo incontro del ciclo dei SaniTalk promosso da Homnya, con il contributo incondizionato di Sobi, e dedicato alle Malattie Rare. Ospiti Giuseppe Limongelli (CCMR Campania), Carlo Picco (Dg Asl Città di Torino), Giuseppe Quintavalle (Dg Asl Roma 1), Chiara Serpieri (Fiaso Piemonte).

Coordinamento tra ospedale, territorio, sanitario e sociale; lavoro in team multidisciplinari; utilizzo di tutta la tecnologia disponibile per migliorare diagnosi e assistenza, ma anche per rafforzare l’omogeneità tra Regioni e Asl e raccogliere dati; potenziamento della formazione universitaria e post-universitaria, non solo medica. Sono queste le principali azioni su cui occorre puntare per migliorare la presa in carico dei malati rari. Che sono pazienti rari, ma sempre più longevi. Con tutte le sfide (di tipo sanitario, come la comorbidità, e sociale, solitudine e non autosufficienza) che l’età anziana comporta. Queste, in sintesi, le riflessioni emerse nel corso del secondo incontro del ciclo dei SaniTalk promosso da Homnya, con il contributo incondizionato di Sobi, e dedicato alle Malattie Rare. Condotto da Corrado De Rossi Re (Direttore di Sanità Informazione), l’evento ha visto protagonisti Giuseppe Limongelli (Direttore CCMR Campania; Componente Tavolo tecnico Nazionale presso il Ministero); Carlo Picco (Direttore Generale ASL Città di Torino); Giuseppe Quintavalle (Direttore Generale ASL Roma 1) e Chiara Serpieri (Coordinatrice regionale FIASO Piemonte).

Garantire la presa in carico di questi pazienti, ha spiegato Carlo Picco, è indubbiamente “un lavoro complesso”, perché si tratta di “patologie con criticità e bisogni specifici, ma che coinvolgono un piccolo numero di pazienti per singola patologia, anche se diventano più numerosi se si considera la totalità delle patologie rare e anche la sopravvivenza, oggi più alta grazie ai progressi scientifici ma non solo”. Insieme ai progressi diagnostici e terapeutici, è la presa in carico a fare la differenza nella vita delle persone e nella loro possibilità di curarsi al meglio. “La Asl Città di Torino – ha spiegato il suo Dg – ha puntato anche sull’umanizzazione dell’assistenza, grazie anche agli interventi strutturali del Centro Malattie Rare, che è riferimento regionale, perché sappiamo quanto questi aspetti siano importanti all’interno del processo di cura”.

Molto si è fatto (ma la sfida resta ancora aperta) per un approccio multidisciplinare alla patologia: “Nella Asl Città di Torino abbiamo costituito un gruppo di lavoro sulle malattie rare, che coinvolge diversi specialisti, allo scopo di organizzare un modello di presa in carico che, se proprio non si può definire un PDTA, possa essere un punto di riferimento importante per garantire assistenza, qualità e appropriatezza”, ha spiegato Picco.

Altro ambito su cui si concentrano gli sforzi è il territorio: “Le case di comunità – ha detto il Dg della Asl Città di Torino – potranno avere un ruolo rilevante nel coordinare e mettere in rete quei servizi di prossimità grazie ai quali intercettare i bisogni dei pazienti e darvi in parte risposta, anche se per diagnosi e terapia sarà necessario fare riferimento all’Hub”.

Se parliamo, più nello specifico, di “rarità” che si unisce “l’anzianità”, la priorità, secondo Giuseppe Limongelli, è “cambiare la percezione che le malattie rare siano poche e appannaggio dei pediatri”. “Stanno aumentando in maniera significativa non solo quelle che transitano dall’età pediatrica all’età adulta ma anche quelle che insorgono negli adulti o addirittura in età anziana”. Tutto questo “apre a scenari nuovi”, la cui prima barriera è, secondo Limongelli, “il pregiudizio nei confronti degli anziani, come se non necessitassero di altrettanta cura e attenzione dei pazienti più giovani. È tutto il contrario – ha sottolineato l’esperto riferendosi alla comorbidità e non solo –. La salute degli anziani necessita di team multidisciplinari che, al di là delle condizioni rare o specifiche, coinvolga figure come il cardiologo, il diabetologo e altri ancora”.

Non dobbiamo dimenticare, inoltre, le situazioni di fragilità, anche sociale. Senza tralasciare, ovviamente, i problemi di sostenibilità del sistema. “Per questo è essenziale che esista un modello organizzativo nel quale sia chiaramente individuato un case manager e un percorso di appropriatezza ed efficienza nell’utilizzo delle risorse”, ha sottolineato Limongelli.

Altra priorità, per il Direttore del CCMR della Campania, è raccogliere dati, a cominciare di quelli epidemiologici, essenziali per fare programmazione e organizzare i servizi. Lavoro che può avvenire “sicuramente attraverso i Registri nazionali e regionali, ma anche attraverso la creazione dei registri di patol

È evidente come molti degli aspetti citati nel corso degli interventi abbiano a che fare anche con il percorso di cambiamento legato all’applicazione del DM 77 e DM 70 e quindi a una nuova articolazione del servizio territoriale. Lo ha sottolineato Giuseppe Quintavalle che, parlando dei principi operativi e procedurali delle case di comunità, ha evidenziato l’obiettivo, condiviso, di “superare il concetto sterile di lista d’attesa, che poi sappiamo sempre essere anche appropriata, ed entrare nella logica di dare il servizio giusto, nel momento giusto, al paziente giusto”.

Per Quintavalle sopra ogni altra cosa c’è, però, bisogno di prevenzione, primaria e secondaria: “A volte basta anche un’indagine familiare per cambiare la vita di una persona e il destino della malattia”. Ancora una volta resta prioritario il ruolo del territorio, con la necessità, secondo il Dg, di un ruolo più rilevante della medicina generale, della continuità assistenziale e della specialistica ambulatoriale: “Senza questo, viene meno la base dell’assistenza, che poi è il concetto stesso di presa in carico”. Ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, Quintavalle affiderebbe anche l’importante compito di “stratificazione della popolazione”, in una logica di prevenzione e di One Health.

È evidente, insomma, che al centro del sistema ci siano i professionisti. Tenendo tuttavia conto, ha sottolineato Chiara Serpieri, “che se da una parte invecchiano i pazienti, dall’altra invecchiano anche gli operatori”. Tra le criticità associate all’invecchiamento del personale, la coordinatrice regionale di Fiaso Piemonte cita la mancata copertura del turn over, che in futuro comporterà il rischio di rimanere sprovvisti del numero necessario di specialisti nei nostri ospedali e aziende.

Per Serpieri, tuttavia, il tema non è soltanto quello numerico, ma anche di trasmissione del know how. Da una parte, dunque, “dovremmo fare in modo che, sempre più spesso, si costruiscano intorno alle singole patologie o ambiti specifici disciplinari quelle che, nella pratica clinica ed organizzativa, sono ormai consolidate come best practice, cioè delle reti strutturate”. Dall’altra, “in un contesto così complicato e specifico come quello delle malattie rare, dove costruire queste reti è molto complicato, diventa tanto più importante la trasmissione del sapere tra colleghi”. Occuparsi di malattie rare, ha chiarito la coordinatrice di Fiaso Piemonte, “significa spesso dedicare tutta la vita a queste patologie, anche solo ad una di esse. Sono scelte professionali molto forti che coinvolgono il professionista ma di cui deve essere ben consapevole anche l’azienda, che deve conoscere e valorizzare le proprie risorse, ma anche sostenerle e guidarle affinché il lavoro fatto non vada perduto”.

Non va certo dimenticata l’importanza di continuare ad investire in ricerca. In questo senso, Carlo Picco ha riferito del percorso intrapreso dalla Regione Piemonte per accrescere il numero degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) in Piemonte: “Allo stato attuale ne abbiamo solo uno e privato”.

La Regione sta inoltre lavorando, con Agenas, a una sperimentazione sulle Cot: “Abbiamo chiesto che a Torino potesse svilupparsi in forma diversa rispetto a quanto previsto dalle linee nazionali, rendendo le Cot specializzate per funzione anziché polivalenti e ancorate al Distretto. Questo proprio per provare a mettere in rete tutte le risorse aziendali di cui disponiamo per affrontare al meglio i bisogni legati alla gestione delle cronicità”.

La telemedicina è, per gli ospiti del talk, un’altra grande scommessa per il futuro, fondamentale anche per colmare eventuali gap di competenze professionali e servizi, ha spiegato Chiara Serpieri. Quando si parla di risorsa tecnologica, si parla ovviamente anche di dati, che messi in comune e analizzati, possono suggerire soluzioni diagnostiche e terapeutiche: “Quella che comunemente viene chiamata intelligenza artificiale non è solo una moda, ma parte integrante del lavoro in salute”, ha concluso Serpieri, che ha voluto sottolinear pure l’importanza di valorizzare le professionalità, “come, ad esempio, gli infermieri di comunità, per un’assistenza di prossimità più veloce e appropriata”.

Continuità assistenziale significa infatti, ha ribadito Giuseppe Quintavalle, “integrare non solo ospedale e ospedale né ospedale e territorio, ma anche il territorio in tutti i suoi ambiti, dal sanitario al sociale”. Per il Dg non è possibile trascurare il disagio sociale, perché “rappresenta, nell’ambito dei percorsi diagnostico-terapeutici, uno degli elementi cardine a cui associare la non aderenza al farmaco e alle terapie, ma non solo. È evidente – ha precisato il Dg della Asl Roma 1 – che non è facile elaborare modelli di collaborazione, specialmente quando si tratta di Asl e ospedali a connotazione autonoma, ma l’auspicio è di poter lavorare sempre più insieme, anche eliminare quelle disparità che, purtroppo, rappresentano ancora oggi un punto critico del nostro servizio sanitario”.

I passi da compiere, insomma, restano tanti. Ma questo non significa che molti, e significativi, non ne siano già stati fatti. Il punto è migliorare, sempre. “Dal DL del 2021 sulle malattie rare ad oggi abbiamo assistito a molte iniziative che oggi rendono l’Italia tra i Paesi più all’avanguardia in Europa in questo campo”, ha ricordato Giuseppe Limongelli. Tra gli aspetti su cui continuare a puntare resta, invece, anche “la formazione – universitaria e post-universitaria – e la sensibilizzazione, perché possiamo avere la migliore organizzazione e le migliori reti possibili, ma se non aumentiamo le conoscenze e l’attenzione sulle malattie rare di tutti gli operatori – medici, ma anche infermieri, farmacisti, biologi, amministrativi e altre – noi non avremo mai una rete che funziona davvero”.

Lucia Conti

 

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