Nell’ambito del percorso di approfondimento di SaniRare, Paolo Petralia – Vicepresidente vicario della FIASO e Direttore Generale dell’ASL 4 Liguria – ha delineato una visione avanzata e umana della presa in carico delle malattie rare. Tra personalizzazione dei percorsi, reti multi-livello e sanità di prossimità, emerge con forza la necessità di un approccio fondato sul valore
Dalla patologia al paziente: il cambio di paradigma
“Affrontare le malattie rare significa superare l’approccio standardizzato e abbracciare una cura centrata sulla persona”. Petralia spiega che l’appropriatezza dei setting di cura non può più essere valutata solo in termini logistici o clinici: bisogna partire dalla specificità della storia individuale, che cambia radicalmente da paziente a paziente.
“Le malattie rare sono il problema di quella specifica persona, di quella famiglia, di quella situazione: è lì che dobbiamo costruire un percorso mirato, specifico, personalizzato in senso stretto.”
Personalizzazione, ma anche sistema: servono reti e governance estese
Le malattie rare, seppur poco frequenti, sono numericamente molte e altamente diversificate. Questo rende evidente la necessità di un cambio di paradigma, che metta la personalizzazione dei percorsi al centro prima ancora della personalizzazione delle cure. Petralia denuncia quindi le difficoltà crescenti in termini di accesso: farmaci ad altissimo costo, disparità territoriali e diseguaglianze. “In questo contesto – sottolinea – occorrono reti di governance multilivello: tra ospedale e territorio, tra primo e secondo livello, tra regioni, e talvolta anche a livello extraregionale o nazionale. È qui che la coordinazione e la condivisione delle competenze diventano strumenti essenziali”.
Relazione uno a uno e sanità di prossimità
In questa cornice diventa di fondamentale importanza la relazione individuale tra sistema sanitario e paziente. E su questo fronte il manager sottolinea come la sanità debba riscoprire una prossimità che non sia solo geografica, ma anche relazionale: “Il tema della prossimità è la chiave. Dobbiamo portare le cure anche nei paesini dell’entroterra, nei punti dispersi e più lontani, là dove vive (appunto) magari un malato raro.” Una visione che richiama un concetto di sanità di comunità, dove la presa in carico avviene sul campo, con operatori che entrano in contatto diretto con la quotidianità del paziente.
Value-Based Healthcare per una sanità sostenibile
Tra gli strumenti strategici, Petralia cita in particolare due elementi: da un lato l’Horizon Scanning, utile per prevedere l’arrivo di innovazioni terapeutiche e organizzative; dall’altro, il Value-Based Healthcare, inteso come approccio valutativo e di sostenibilità. “L’Horizon Scanning – chiarisce – ha un valore predittivo, ma la Value-Based Health Care può essere un altro strumento in termini valutativi e di sostenibilità”- La VBHC consente infatti di misurare il valore prodotto dalle cure rispetto agli esiti rilevanti per il paziente, legando efficacia clinica, appropriatezza e gestione delle risorse. “Un modello fondamentale per affrontare le malattie rare, che spesso implicano trattamenti molto costosi e tecnologie avanzate”.
Unicità del paziente, unicità della risposta
In chiusura, Petralia ribadisce che parlare di malattie rare non significa affrontare un’emergenza marginale, ma al contrario prendere in carico una moltitudine di casi unici, ciascuno con diritti propri e bisogni specifici. “I malati rari sono uno ad uno, unici e irripetibili. E gli strumenti che abbiamo devono consentirci una gestione davvero individualizzata, per dare a ciascuno tutto ciò che gli compete.”
La testimonianza di Paolo Petralia non è, dunque, solo una riflessione tecnica ma un appello politico e umano: ripensare la sanità non come erogazione impersonale di prestazioni, ma come costruzione di valore per ogni singolo cittadino. Un’idea di salute che si fa concreta solo se accompagnata da prossimità, relazioni e da un’architettura organizzativa in grado di sostenerla.